martedì 17 gennaio 2012

Tupì or not Tupì. Antropofagia culturale, modernismo e futurismo in Brasile.


Negli ultimi anni ascendenti nel perido della Vecchia Repubblica in Brasile, il poeta e scrittore Oswald De Andrade e la raffinata pittrice Tarsilia Do Amaral furono i protagonisti di una corrente artistica e culturale che prese inizialmente il proprio nome dal “Pau Brasil” (1924), pianta dalla quale deriva il nome stesso del paese. Il loro progetto culturale e antropologico fu pubblicato in forma di liriche scritte da De Andrade ed illustrate da Tarsilia.

Tarsilia do Amaral - "Antropofagia" 1929 - M.A.C (SAO PAULO)

Entrambi avvezzi alla scena culturale parigina, nel 1923 intrapresero insieme una serie di avventurosi viaggi all’interno del Brasile, perseguendo l’intento di conoscere e recuperare le tradizioni delle più antiche tribù indigene autoctone. Si trattò di una impegnativa sperimentazione militante che nel 1928 indusse Oswald De Andrade alla stesura dell’irriverente “Manifesto dell’antropofagia”.

Ispirandosi al nome dei Tupì, un’antica popolazione del distretto di São Paulo, riecheggiando inoltre le note di un noto quesito letterario, De Andrade lo traspose come questione centrale del suo nuovo manifesto: “Tupì or not Tupì?”.

Hans Staden - Cannibalismo in Brasile - 1557

Essere indigeni o non essere indigeni. Se da un lato lo scrittore brasiliano aveva ereditato una sottile vena ironica unita al gusto per i giochi di parole dalle avanguardie europee, dall’altro dichiarava che l’avanguardia modernista brasiliana avrebbe rivoluzionato il mondo della cultura mangiandolo, proponendo ricette per cucinare, assorbire e metabolizzare i canoni culturali della vecchia civiltà europea stantia e coloniale.

Alla corrente di Oswald de Andrade e Tarsilia do Amaral si unirono anche Mario de Andrade, Anita Malfatti e Menotti del Picchia, successivamente etichettati come Gruppo dei 5, impegnati nella codifica di un linguaggio artistico, letterario e politico che potesse essere specifico dell’identità brasiliana.
Con la metafora del cannibalismo ebbero l’intuizione di rigenerare l’impianto culturale del paese ripartendo dal loro ricchissimo primitivismo d’origine, indicando come assoluta strada da seguire le radici delle civiltà indigene di matrice autoctona.


Tarsilia do Amaral - "Abaporu" 1928 - M.A.C. (SAO PAULO)

Per illustrare la poetica del movimento venne scelto un quadro di Tarsilia do Amaral, intitolato con la parola indigena “Abaporu” (L’uomo mangia), nel quale era ritratta una gigante figura stilizzata con piedi enormi in primo piano, seduta a terra vicino a un cactus ed un sole-limone alto nel cielo dello sfondo.
 

Un siffatto stile irredentista e nazionalista finì ben presto per essere catalogato come avanguardia futurista brasiliana ed Oswald De Andrade paragonato a Filippo Tommaso Marinetti, in quanto “prossimo al futurista italiano negli entusiasmi iconoclasti e nella capacità di infiammare gli animi” (Elena Agudio, Jean Blanchaert).
Nel 1912, a soli ventidue anni, a Parigi ed in Italia, De Andrade aveva già incontrato i futuristi e da quel momento fu per sempre un fermo divulgatore del messaggio avanguardista. Tuttavia un atteggiamento profondamente diverso, lontano dall’ideologia politica italiana, lo portò a prendere le distanze dai firmatari paulisti del “Manifesto futurista brasiliano” divulgato da Brasil Serso entro il 1926. Marinettiani convinti, i futuristi paulisti erano intenzionati a fascistizzare l’assetto politico-culturale del paese.


Tarsilia do Amaral - "La stazione" 1925 - M.A.C. (SAO PAULO)

Il futurismo o modernismo di Oswald De Andrade, che aderì in prima persona al partito comunista brasiliano, andava a braccetto con l’omonimo movimento russo e suoi ispiratori erano principi antitetici con l’etica del manifesto filo-italiano di Serso. Il movimento modernista di De Andrade rimase comunque in primo piano rispetto ai colleghi paulisti, guadagnandosi lo status di futurismo brasiliano per eccellenza.

Per Oswald De Andrade il futurista brasiliano non poteva pretendere di demolire un passato museale fatto di vetuste antichità sopraffini, poiché non lo possedeva, bensì doveva assimilare ed eliminare l’antenato colonizzatore nel riferimento perenne alla cultura europea per affrancarsi totalmente dalla ex-madre patria.
Così i dipinti di Trasilia do Amaral non erano semplici rielaborazioni delle tendenze avanguardiste d’oltremare “ma tropicalismi narrativi ad olio su tela, espressione di una precisa arte di tipo concettuale” (Elena Agudio, Jean Blanchaert).


Tarsilia do Amaral - "Foresta" 1929 - M.A.C. (SAO PAULO)

Passando attraverso il recupero delle tradizioni cannibali indigene, si generò un atteggiamento interiore che affrancò le menti degli artisti brasiliani dai richiami culturali della vecchia Europa, liberando a tutto tondo le loro memorie creative.


Lygia Clark - "Baba antropofagica" - 1973

Nel 1973, Lygia Clark rendeva omaggio all’antropofagia culturale di Oswald De Andrade e Tarsilia do Amaral con la performance della “Baba antropofagica”. I partecipanti estraevano dalle proprie bocche dei rocchetti di “bava” filiforme che andava ad avvolgersi intorno al corpo della vittima.



Artur Barrio - "Livro de carne" - 1979

Il “Livro de carne” (1979) di Artur Barrio, un libro di vera e propria carne fresca da sfogliare, richiama in tema di futurismo il “Libro macchina bullonato” (1927) di Fortunato Depero, però è mosso anch’esso dalle esigenze, del tutto diverse, di un esplicito richiamo alla metafora dell’antropofagia culturale.


- Liberamente tratto da "La rivoluzione dei cannibali" di Elena Agudio e Jean Blanchaert.

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